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Biografia di Martha Gellhorn
 
Martha Gellhorn nasce a Saint Louis, nel Missouri, nel 1908. Il padre, George, medico, ha dovuto lasciare il suo paese, la Germania, perché ebreo. La madre, Edna Fischell, è una  suffragista che si batte non solo per il voto alle donne o per le modifiche alla legge sul divorzio, ma anche per ottenere norme più rigide che tutelino il lavoro dei minori e per le cure mediche gratuite per i bisognosi. Per dedicarsi al giornalismo, Martha rinuncia al diploma. Comincia a lavorare all’Albany Times Union, dove le affidano la cronaca rosa e la cronaca nera, che comporta frequenti visite all’obitorio. "Guardavo quei cadaveri sui tavoli, le spalle strette e i capelli grigi tagliati a caschetto – dirà più tardi - e facevo ipotesi su quale fosse stata la loro vita." Oltre alle ipotesi, fa anche la sua scelta: per il resto della vita si occuperà degli underdogs, dei vinti, delle persone che vivono in stato di inferiorità sociale.
 
   Nel 1929 va a New York, dove lavora per qualche tempo allo Hearst Times Union e al New Republic. Ha tutte le qualità di un buon reporter: possiede una scrittura chiara e precisa, ricca di dettagli e di vivide descrizioni. Ritenendo di avere ormai sufficiente esperienza, si presenta negli uffici del New York Times e si propone al caporedattore come corrispondente dall’Europa. È venuto il momento di andare a vedere e sperimentare il mondo. Parte per Parigi, dove lavora anche per il St. Louis Post-Dispatch, Vogue e la United Press. Conosce Bertrand de Juvenal, figliastro della scrittrice Colette, con il quale ha una relazione. Ma diversamente da quanto affermano erroneamente molte biografie, egli non diventerà mai suo marito.                                                           
 
   Nel 1934 torna negli Stati Uniti e fa il suo debutto come romanziera. What Mad Pursuit, scritto in Europa, contiene la sua esperienza nel movimento pacifista giovanile di Parigi. È  una commistione fra racconto e giornalismo, la storia di tre studentesse americane alla ricerca di un ideale in cui credere e dell’incontro con i problemi della società. Il libro non è ben accolto dalla critica e dal pubblico e Martha stessa più tardi lo rinnegherà, anche se esso contiene molti dei temi da lei sviluppati in futuro, come il sopruso, lo sfruttamento e la necessità di sopravvivere a ogni costo. Il libro la lascia esausta,  feeble as spaghetti, e sgomenta al pensiero di quanta fatica le sia costato per nulla.
 
   Nel 1936, mentre l’America è in piena Depressione, le viene chiesto di fare un resoconto sul funzionamento del programma governativo di aiuto e di assistenza nelle zone industriali. Lei si reca a visitare gli stabilimenti tessili della Carolina del Nord e comincia a raccogliere materiale nei quartieri poveri. Intervista le famiglie che vivono dentro a baracche piene di topi e senza fognature, intervista i dottori che ben poco possono fare per i bambini malnutriti, affetti da rachitismo e anemia. La  pellagra e la tubercolosi mietono vittime e la sifilide causa la nascita di figli deboli di mente. Quattro mesi dopo, le vicende confluiscono in un libro formato da quattro storie brevi sui temi dell’ingiustizia del destino, del cattivo uso del potere, della brutalità e delle vessazioni nei confronti dei deboli. Il titolo, The Trouble I’ve Seen, è lo stesso dello spiritual dei neri americani. Questo lavoro avvicina Martha ai Roosevelt – la first lady Eleanor è amica di sua madre dai tempi della scuola – e in futuro lei sarà spesso ospite della Casa Bianca.
 
   Alla fine del 1936 Martha va in vacanza con la madre a Key West, in Florida. Una sera si recano in un bar chiamato Sloppy Joe’s. Seduto in un angolo, c’è un uomo grosso, dall’aspetto disordinato, con dei calzoncini corti e una camicia bianca pieni di macchie, intento a leggere la corrispondenza. E’ Ernest Hemingway, portato in quest’isola, dove la pesca è eccellente, da John Dos Passos. Martha ha 28 anni, è reduce da eccellenti recensioni del suo The Trouble I’ve Seen ed è considerata la scoperta letteraria dell’anno. La guerra di Spagna, insieme alla rivoluzione cubana, diventa il loro primo argomento di conversazione. In una lettera a Eleanor Roosvelt, Martha descrive Hemingway come un "tipo eccentrico, amabile, pieno di fuoco, un meraviglioso narratore" nonché un "idolo illustre". In quelle agli amici lo chiama Ernestino.
 


   Alla fine di marzo del 1937 Martha è a Parigi. La capitale è il punto di partenza dei giornalisti e degli scrittori diretti in Spagna ed è un luogo di rifugio dei fuoriusciti della Germania nazista e dell’Italia fascista. Pochi giorni dopo va a Madrid, dove incontra nuovamente Hemingway e inizia con lui una relazione. Spedisce alla rivista Collier’s di New York una serie di articoli, nei quali  descrive gli effetti della guerra sulla vita quotidiana, il coraggio e la capacità di resistenza della gente comune, in particolare delle donne. A fine anno lei e Hemingway rientrano negli States, dove Martha tiene una serie di conferenze. Tornano in Spagna a settembre dell’anno successivo e sono a Barcellona nei giorni del bombardamento. Uno degli articoli scritti da lei sulla città colpita dalle bombe e dal fuoco dell’artiglieria ha per titolo Only the shells whine. Nel cablogramma che lo accompagna Martha scrive che le sembra di vivere durante gli ultimi giorni di Pompei.
 
   Lascia la Spagna per far ritorno in Germania e in Italia, dove testimonia l’ulteriore crescita di potere di nazismo e fascismo. In Cecoslovacchia si sposta lungo la frontiera, sulla quale si erigono barricate. Nel 1939 è testimone della guerra d’inverno fra la Finlandia e l’Unione Sovietica. Si trova a Helsinki quando l’aviazione sovietica bombarda la città. I suoi resoconti sottolineano il fatto che la Finlandia non è il paese aggressore ed influenzano molto l’opinione pubblica americana sulla guerra.
 
   Rinuncia al progetto di un romanzo sulla Spagna - troppo crudi i fatti,  troppo opprimente l’atmosfera - e decide invece di ambientare la storia a Praga. Attorno al personaggio centrale di una giornalista americana, inviata a fare un servizio sul collasso della Cecoslovacchia caduta in balia della Germania, comincia a costruire una storia sugli europei rifugiati in quella città. Il romanzo, del 1940, si intitola A Stricken Field, dal titolo della narrazione storica di una battaglia avvenuta nel Medioevo che Hemingway sta leggendo e contiene molti eventi da lei seguiti come reporter fino a quel momento. In apparenza esso riguarda il tradimento perpetuato dall’Europa nei confronti della Cecoslovacchia, in realtà è il libro che lei avrebbe voluto scrivere sulla guerra di Spagna, dove sono stati distrutti gli ideali di un’intera generazione. Martha racconta come ha vissuto il tradimento dei repubblicani. Le critiche sono tiepide, il libro – dicono – somiglia più a un reportage che a un opera di narrativa.
 
Martha e Hemingway si sposano il 20 novembre 1940, a Cheyenne, nel Wyoming. Il fotografo della cerimonia è Robert Capa, le foto sono pubblicate da Life. L’anno dopo esce una raccolta di racconti brevi, The Heart of Another (la citazione completa è The heart of another is a dark forest ed è tratta da Willa Cather, scrittrice americana dei pionieri del West), storie d’amore e di solitudine, di delusioni e di sconfitte. Questa volta l’accusa dei recensori, che pure sottolineano il talento della scrittrice nel ricostruire situazioni e nell’evocare emozioni, è che esse siano influenzate da Hemingway.  
 
   Nel 1943 Martha è di nuovo in Europa, prima in Inghilterra, poi in Italia, per seguire l’avanzata degli Alleati, sbarcati a Salerno a settembre. Essi si aspettano una scarsa reazione da parte dei tedeschi, che invece oppongono una feroce resistenza. Bloccata a Cassino con le truppe alleate, cerca di convincere Hemingway, che dice di sentirsi come un vecchio cavallo da corsa che un padrone senza scrupoli continua a sellare e a far gareggiare sugli ostacoli, a raggiungerla. Lo scrittore arriva in Inghilterra poco prima dell’invasione della Normandia e prende il posto della moglie come corrispondente leader di Collier’s. All’inizio dell’estate  del ’44 sulle coste inglesi ci sono due milioni e mezzo di soldati pronti per lo sbarco in Normandia. Martha si imbarca come clandestina su una nave della Croce Rossa diretta in Francia, quindi torna in Italia, dove gli Alleati riprendono ad avanzare: Roma, Perugia, Firenze… La giornalista è affascinata dal miscuglio di nazionalità dei soldati dell’Ottava Armata: canadesi, indiani, sudafricani, neozelandesi passati dalle tempeste di sabbia del deserto africano al fango dell’inverno italiano. Si aggrega ai Lancieri della Carpazia e va in giro con loro sulla jeep, sulle polverose strade
 
minate. Poi riparte per andare a seguire la battaglia delle Ardenne, il ricongiungimento con l’armata sovietica e la liberazione di Dachau. Torna in Inghilterra, dove incontra Hemingway in ospedale, con la testa avvolta in una voluminosa fasciatura a turbante a causa di un incidente stradale. Lei scoppia a ridere, lui si irrita. Il rapporto è teso, la relazione non si ricomporrà più. Da questo momento vivranno praticamente separati. Le guerre hanno scandito il loro rapporto: sposati dopo la guerra di Spagna, separati  dopo lo sbarco in Normandia.
 
   Del 1944 è una storia intitolata Liana, scritta con grande finezza e spirito di osservazione. La protagonista è una bella ragazza mulatta che vive, esibita come un trofeo, con un ricco piantatore bianco su un’isola caraibica francese. Si innamora di un giovane insegnante francese ed è tradita da entrambi. Scrivere una storia sulla libertà delle persone, sulla loro responsabilità e sul senso di solitudine, mentre tutti scrivono di morte e di guerra, la fa sentire in colpa, quasi senza coscienza sociale; tuttavia il 27 giugno scrive l’ultima delle 90.000 parole che compongono la storia di Liana. Il titolo originario era: Share of Night, Share of Morning, da un poema di Emily Dickinson. "Mi dispiace per le donne. Non sono libere e non c’è modo che si rendano libere - dice – le loro vittorie sono sempre fittizie."
 
   Nel novembre 1945 è a Norimberga per il processo ai criminali nazisti. Ascolta Goering confermare che Guernica è stato un esperimento per la Lutwaffe e che è stata scelta in assenza di altri posti disponibili per provare le macchine da guerra tedesche. Negli intervalli del processo va in giro per la città a far domande agli abitanti. Nel marzo 1946 il suo lavoro di corrispondente per Collier’s la porta in Estremo Oriente, a seguire la resa dei giapponesi. Dello stesso anno è una commedia dal titolo Love goes to press, scritta in collaborazione con Virginia Cowles e ambientata nell’accampamento della stampa di Sessa Aurunca. La reporter Jane, donna irriverente e competitiva, batte i colleghi maschi, vanitosi e pomposi, con un colpo giornalistico sensazionale.  
 
   Il romanzo The Wine of Astonishment è del 1948. Il titolo, tratto da una Bibbia Gideon trovata in un hotel in Florida, non le piace molto. "Rovina da solo il libro" dice. Il contenuto è parzialmente basato sulle sue esperienze a Dachau, dove è entrata una settimana dopo l’ingresso dei soldati americani. I protagonisti della storia sono due di loro, impegnati nella battaglia di Bulge. Dopo questo romanzo dice: "Ne ho abbastanza di conflitti, sono diventata obiettore di coscienza." Ma non è la sua ultima guerra.
 
   Nel 1949 Martha adotta un bambino in un orfanotrofio italiano e va a vivere con lui a Cuernavaca, in Messico. Del 1953 è un libro dal titolo The Honeyed Peace, costituito da storie di donne con un tema comune: il difficile ritorno a una vita normale dopo la guerra e la natura fuggitiva della felicità.  


 
 Nel 1954 si sposa con l’ex direttore di Time, Tom Matthews e comincia a far la spola fra Londra e Washington. Il matrimonio durerà nove anni e Martha lo rimpiangerà per il resto della vita. In un libro di racconti brevi Two by two, del 1958, la scrittrice affronta il tema del matrimonio e dei suoi vincoli. Una delle storie In Sickness and in Health le fa guadagnare un premio. L’anno dopo tutta la sua corrispondenza di guerra viene raccolta in un volume dal titolo The Face of War, che ottiene buone recensioni, anche se non molto numerose. Il volume sarà ripreso nel 1967, per includervi la guerra del Vietnam. Nella prefazione Martha sostiene che la guerra va tollerata perché l’uomo è così stupido da aver bisogno del conflitto. Ma un conto è lottare per difendere la propria indipendenza e dignità, un altro è usare la violenza per annientare la libertà di un paese e di un popolo. Nel 1961 esce un breve romanzo dal titolo His Own Man, incentrato sugli strani personaggi che affollavano la città di Roma nell’immediato dopoguerra. E’ un libro "più leggero di un piumino da cipria", secondo la definizione dell’autrice, divertente e spiritoso, ma con descrizioni tutt’altro che lusinghiere dei personaggi adombrati e che le ha fatto perdere il saluto di molti conoscenti. In Gran Bretagna non è mai stato pubblicato. In un certo senso esso rappresenta un intervallo di evasione, dopo il quale Martha ricomincia a seguire le guerre, dapprima quella del Vietnam, poi il conflitto arabo-israeliano per il Guardian di Londra. Del 1967 è il romanzo The Lowest Trees Have Tops, un’analisi arguta e divertente di una comunità utopistica fondata in Messico da cittadini americani che hanno abbandonato il proprio paese a causa del maccartismo. Nel 1976 Martha torna in Spagna e tratteggia per il New York Times una descrizione del paese dopo Franco. Rientrata in Inghilterra – Londra è diventata la sua residenza fra un viaggio e l’altro - scrive per il Guardian una serie di articoli sugli scioperi dei minatori britannici sotto il governo Thatcher, poi analizza la politica di Reagan in Nicaragua per il New Statesman. A metà degli anni ’80 si reca a Panama per seguire l’invasione del paese da parte degli Stati Uniti, per conto di Granta. Parte senza fare alcuna prenotazione. Al ritorno, racconterà di quel passeggero di un taxi che, preoccupato, le ha detto: "Signora, lei non dovrebbe viaggiare da sola!". Martha ha quasi 80 anni.
 
   Nell’autunno del 1994 mette in vendita il suo cottage in Galles, che sorge in mezzo alle amate colline delle sue passeggiate. Ma il clima è un po’ troppo piovoso, "più adatto a coltivare funghi che ad abitarci" dice. Ha un cancro al fegato, la vista si è molto indebolita. Non può più leggere, né lavorare, né viaggiare, né fare alcuna delle cose che hanno riempito e dato significato alla sua vita. Aveva sempre detto di non voler ridursi a vivere come un vegetale e il 14 febbraio del 1998, all’età di 89 anni, nel suo appartamento londinese di Cadogan Square decide che è venuto il momento di prendere "le pillole dell’addio" che aveva sempre con sé.  
 
   Oggi si sente dire spesso che, per fare bene il proprio lavoro, i giornalisti dovrebbero riprendere in mano il taccuino e tornare in strada a cercare le notizie, anziché starsene seduti davanti al computer a compulsare Internet. Martha lo ha fatto per tutta la vita. "Va a tastare il polso della nazione" diceva scherzosamente Hemingway ogni volta che partiva. "Partendo dal basso" aggiungeva lei, che considerava il giornalismo un mezzo per conoscere di persona tutto ciò che attirava il suo interesse e per avere un’esperienza diretta delle cose di cui scriveva.
 

 
Cinque horror trips
 
 
   Le esperienze di viaggio che attirano maggiormente l’interesse di chi è rimasto a casa sono quelle disastrose. Provate a raccontare le cose meravigliose che avete scoperto lungo il vostro itinerario e vedrete che, dopo poco, la conversazione si sposta sul programma televisivo della sera prima o su qualche pettegolezzo locale. Ma se raccontate le vostre sofferenze in terra straniera o di come siete sopravvissuti a qualche catastrofe, ecco che fioccano le domande per saperne di più.
 
Mentre siede su una spiaggia di Creta accanto a una scarpa impregnata d’acqua, in mezzo a lattine arrugginite, pacchetti di sigarette vuoti, cartacce, bottiglie e ordure di ogni genere, con l’impressione di aver passato la vita in situazioni come questa, a Martha viene l’idea di trasformare in libro le annotazioni su alcuni dei suoi horror trips scritte nel corso degli anni. Appena rientra a Londra, si mette alla ricerca dei suoi diari, dei taccuini su cui ha trascritto esperienze e idee, delle lettere alla madre. Ha sempre viaggiato molto, per lavoro e per divertimento, ha vissuto in paesi diversi, e la gamma di appunti fra cui scegliere è molto vasta.  
 
   Il viaggio più famoso, insuperato e insuperabile, è quello fatto in Cina con il marito Ernest Hemingway, suo Unwilling Companion, Compagno Riluttante. Il direttore della rivista Collier’s le aveva chiesto di andare a seguire la guerra cino-giapponese – era sua opinione che il Giappone, dopo essersi unito alle potenze dell’Asse, avrebbe cominciato a distruggere l’Oriente, come stava facendo la Germania in Europa - e di fare un resoconto sull’esercito cinese in azione. A Hong Kong, dove devono trattenersi in attesa del permesso per andare in prima linea, anziché andare a caccia con il marito sulle colline circostanti, lei va in giro per la città a cercare informazioni sulle fabbriche, sui tribunali, sulle fumerie d’oppio, sui bordelli, sulle sale da ballo e da gioco, sui prezzi e sui salari. Dopo qualche settimana il permesso arriva e Martha ed Hemingway partono in aereo per Nanyang. La Seventh War Zone che devono attraversare, è un’area grande quanto il Belgio, ridotta a un’unica distesa di fango dalle piogge torrenziali. A New York, un resoconto sull’esercito cinese in azione era parso un progetto razionale, sul posto non lo è più. La vecchia Chevrolet su cui viaggiano si impantana sulla strada sterrata piena di massi, i pneumatici scoppiano con regolarità costante e ad ogni schianto entrambi trattengono il fiato per timore delle conseguenze. Sul fiume North River (Chiang Jiang) li aspetta un Chriscraft che rimorchia un sampan, sul quale passano quarantatrè ore. Poi proseguono a dorso di pony: quello di Hemingway è talmente basso che gli permette di cavalcare e camminare allo stesso tempo. Divorati da mosche e zanzare, visitano caserme e campi per parate militari, presenziano a cerimonie. In una scuola di cadetti vedono i ritratti di Goering, Mussolini e Chamberlain. Sopportano stoicamente disagi e difficoltà, anche se in un hotel di Guilin, i cui letti formicolano di cimici, Hemingway rimpiange di non avere con sé la pistola per sparare a quei luridi insetti. Arrivano in aereo a Chongqing, capitale della Cina in tempo di guerra. Martha la descrive come "grigia, informe, fangosa, un insieme di tetri edifici di cemento e di misere baracche, umida d’estate, fangosa per il resto dell’anno, sporca, puzzolente, infestata dai topi". L’unico motivo per cui è stata scelta è che è irraggiungibile.

Pranzano con il Generalissimo e con Madame Chiang Kai-shek. Nel 1937 i due erano apparsi sulla copertina del Time, come coppia dell’anno. Lui, magro, dritto, in uniforme grigia, tanto impeccabile da sembrare imbalsamato, è senza denti. Riportando il fatto a un impiegato dell’ambasciata americana, Martha scoprirà anni dopo che questo era un riguardo riservato agli ospiti più illustri. Incontrano anche Ciu en Lai, membro fondatore del Partito Comunista cinese, che si nasconde in città. Il regime di Chiang è brutale, corrotto e inefficiente. Il Generalissimo, interessato solo al proprio potere, non si preoccupa minimamente della miserabile condizione in cui vivono le orde di schiavi che costituiscono la maggioranza del popolo cinese e, più che i giapponesi, destinati un giorno a scomparire <<come un attacco di brufoli>>, egli teme l’insurrezione comunista. Ma questi giudizi la giornalista li esprimerà molti anni più tardi, il fatto di essere loro ospite le impedisce di farlo al momento.
 
  Nel gennaio 1962 Martha decide di esplorare l’Africa. Il resoconto di questo viaggio è il più dettagliato, essendo stato scritto subito dopo il suo ritorno in Europa, in una pensione di Trieste. Dietro consiglio del suo medico di Londra, che è stato in Nigeria durante la guerra con i piloti della RAF, e che considera il continente un posto orrendo, ricettacolo di tutte le peggiori malattie, si vaccina contro il vaiolo, la febbre gialla, il tifo, il colera, il tetano e la polio e porta medicine per la dissenteria e per la malaria, unguenti per le ferite e le infezioni della pelle, disinfettanti per l’acqua. Mette in valigia una borsa dell’acqua calda, un maglione, un paio di pantaloni di lana, un cappello da pescatore, le carte per il solitario e un binocolo. Parte da Douala, nel Camerun. Il paesaggio, una giungla grigioverde inospitale, interrotta qua e là da fiumi fangosi dal percorso serpeggiante e da specchi d’acqua paludosi pieni di moscerini, non è all’altezza delle sue aspettative. Dove sono le ampie pianure dorate, le montagne azzurre, gli animali selvatici vagheggiati con la fantasia? L’afa è tale che sembra di essere avvolti in una coperta umida dalla testa ai piedi. A Yaoundé, la tappa successiva, si celebra la giornata mondiale dei lebbrosi. Martha visita un lebbrosario dove si fa festa e le donne ballano il twist. Qui Schweitzer non è considerato un eroe né un grande pensatore, la sua medicina è ritenuta antiquata, la sua vita troppo pubblicizzata; vi sono altri medici meno conosciuti, che svolgono un lavoro migliore e più duro. Va anche a visitare alcune missioni cattoliche, fra cui quella di Père Moll, che le racconta le sue curiose esperienze con gli africani. Il viaggio prosegue nel Chad, un paese il cui nome l’ha sempre affascinata sin da bambina. Si ferma a Fort Laramy, oggi N’Djamena, prima di proseguire in direzione di Khartum, alla congiunzione dei due rami del Nilo. In Kenya l’horror trip sembra finito, questa è l’Africa che ha sempre sognato. E invece no. Le viene l’idea di noleggiare un Land Rover con autista per andare a visitare i parchi, così le situazioni incresciose ricominciano.
 
   Il capitolo intitolato One Look at Mother Russia è dedicato all’incontro con Nadezda Jakolevna Chazina, autrice del libro Hope against Hope (Sperare oltre la speranza). Nadezda è la vedova del poeta Osip Emil’evic Mandel’stam, nato a Varsavia nel 1891, trasferito a Pietroburgo nel 1910 e diventato una delle figure più in vista dell’ambiente letterario russo. Osip viene arrestato nel 1934 per attività antisovietica e condannato al confino. Tradito da un amico a cui ha letto una sua poesia che bolla Stalin come assassino, nel 1938 è deportato in un lager presso Vladivostok, dove muore. Martha è impressionata dal coraggio di questa donna, testimone contro l’ingiustizia, che dopo aver sostenuto il marito per diciannove anni, ne ha dedicati trentaquattro a tenerne viva la memoria. Le scrive parole di elogio e Nadezda le risponde che sarebbe terribilmente contenta di conoscerla di persona. Nel luglio del 1970 Martha parte per Mosca, carica come un mulo dei beni che le sono stati richiesti: medicine per l’ulcera e per l’artrite, profumo Arpège, calze di nylon, uno scialle di cashmere, gonne e maglioni di lana, barattoli di marmellata d’arance, dischi di Menuhin. Non porta i libri pornografici – anch’essi richiesti - ma aggiunge di sua iniziativa alcune bottiglie di whisky, i gialli di Mc Bain e di Spillane, le recensioni del libro apparse in Occidente, fornite dall’editore. L’incubo ha inizio appena Martha mette piede fuori dall’aereo: il caldo è opprimente, l’aeroporto è un caos dove non sa dove andare a recuperare il bagaglio, i cambiavalute non cambiano la valuta, i taxi non fanno servizio – in generale, le persone a contatto con gli stranieri sembrano provare una grande soddisfazione a dire Niet - l’hotel è sulla strada per Minsk, in mezzo ai boschi... Quando finalmente riesce a raggiungere l’appartamento di Nadezda – si è fatta scrivere l’indirizzo in russo su un pezzo di carta che è pronta a ingoiare in caso di pericolo - si trova di fronte una donna piccola, tarchiata, con le gambe a forma di V, gli occhi azzurro pallido, che fuma, ansima e tossisce senza sosta. Nell’alloggio c’è un via vai continuo di amici e conoscenti e, ascoltando i loro discorsi, Martha si rende conto che il linguaggio disturbato, fatto di non sequitur, di dialoghi in cui tutti parlano e quasi nessuno ascolta, che lei aveva sempre creduto essere un’invenzione degli scrittori russi, è invece assolutamente reale. È contagiata dall’atmosfera di paura che si respira in questa città senza libri e senza giornali, dove la radio è perennemente disturbata da interferenze. Ha la sensazione di aver deluso Nadezda e i suoi amici:  non è diventata una loro seguace, non si è unita al coro di lamentele di chi sembra avere il monopolio delle sofferenze del mondo. Dopo una settimana di permanenza nella Società dello Squallore, deve respingere con forza il desiderio di chinarsi a baciare la moquette dell’aereo della British Airways che la riporta in patria. Legge con avidità l’elenco della paccottiglia che si può comprare a bordo della splendida linea aerea capitalista britannica e di una cosa è certa: non metterà mai più piede in Russia. Ma per il resto della vita citerà Nadezda e dirà che, come lei, ha cercato di riferire le ingiustizie di cui è stata testimone, perché "è dovere degli scrittori e dei giornalisti registrare gli avvenimenti, nella speranza di smascherare chi non dice la verità".
 
   Nel 1942, colpita dalle cifre della guerra sul mare – in un anno i tedeschi hanno affondato ben 1.508 navi da carico degli Alleati, 71 nei soli Caraibi in due mesi – Martha propone alla rivista Collier di essere inviata nell’arcipelago per raccogliere notizie più dettagliate. Il suo sogno sarebbe quello di incontrare i sopravvissuti di una torpediniera, di scoprire una radio nemica clandestina, di individuare qualche scorta nascosta destinata ai sottomarini tedeschi o - perché no? – di avvistare un sommergibile avversario. Noleggia una barca, il Pilot, con la quale si sposta per giorni e giorni da un’isola all’altra, senza alcun risultato. Allora si ferma a Basse-Terre, capitale di St. Kitts, un villaggio così morto che le sembra di essere anche lei sepolta viva, e descrive il viaggio così come si è svolto. Il resoconto – 11.000 parole al posto delle 5.000 richieste – è molto divertente, anche se fa passare la voglia, a chi lo legge, di mettersi in cammino per una qualsiasi destinazione. Poi va ad Antigua, dove c’è una base dell’Air Force e visita gli hangar con il tetto coperto di paglia, le caserme dei piloti, la sede del quartier generale, i carri merci coperti, le passerelle di legno e i ponti di tavole. Si sposta quindi nella Guiana francese e nel Suriname, da dove spedisce l’ultimo articolo. Prima di ripartire, decide di fare un’ultima ricognizione del territorio. Noleggia una barca, risale il fiume Saramcoca – scelto perché le piace il nome - ed arriva fino a Paramaribo. Ma il tormento della sete, il prurito delle punture di insetti, la mancanza di spazio nella piccola tenda canadese mettono a dura prova il fisico e il morale. Al quinto giorno è pronta a lasciare agli esploratori - giudicati dei pazzi degni di venerazione per le doti di resistenza e di sopportazione dimostrate - l’arte di esplorare. È tuttavia contenta di aver conosciuto quei luoghi prima che l’arrivo dei dollari ne abbia stravolto la vita e la fisionomia, prima che gli hotel, i casino, le boutique, i supermarket, le lavanderie, i ristoranti e gli snack bar abbiano preso il posto degli alberi e che file di yacht siano all’ormeggio dove prima c’erano solo lagune di acqua cristallina.       
 
   "Ciò che rende orribile un viaggio – scrive Martha nell’ultimo capitolo – è la noia". Naturalmente anche i ritardi, le malattie, la fatica, la mancanza di comodità, la tensione hanno la loro parte, ma è soprattutto la noia la maggiore responsabile degli horror trips. E non c’è bisogno di andare troppo lontano per trovarla. Basta guardare – dice - i partecipanti ai viaggi organizzati durante una visita guidata alle antichità greche o alle moschee della Persia, gli uomini dallo sguardo spento e dalle spalle curve che portano i bagagli loro e delle mogli, le coppie che siedono mute nelle sale da pranzo di hotel stranieri, i giovani genitori carichi di giocattoli, di pannolini e di bottiglie del latte, che battono le strade alla disperata ricerca di un B & B dove trovare rifugio. È pur vero che gli horror trips sono soggettivi. Una crociera, con la sua allegria organizzata, che per lei sarebbe letale, per altri è occasione di divertimento. Martha ha trovato dosi massicce di boredom presso i componenti di una comunità di hippies in Israele, con i quali ha cercato di avere, con scarso successo, un confronto di idee. Sotto l’effetto dell’hashish per la maggior parte del tempo, essi rispondono in modo vago alle sue domande e i loro argomenti sono contraddittori. Non hanno interessi di alcun genere, la loro conversazione è focalizzata sui luoghi, dall’Afghanistan all’Estremo Oriente, in cui è facile far rifornimento di hashish di qualità. Anche questa esperienza frustrante, tuttavia, è raccontata con grande ironia e partecipazione. In questo resoconto, come nei precedenti, tutto è molto vero e vissuto e il tono, pungente e satirico, non è mai derisorio. "Se invece di saltabeccare qua e là per il mondo con il vigore di un fagiolo messicano avessi dedicato un po’ di tempo ad analizzare i miei primi viaggi…" conclude con rimpianto e sottintende che in questo modo avrebbe evitato tante brutte esperienze. Per nostra fortuna non lo ha fatto. Così possiamo gustare il racconto brillante di come si sono svolte le sue disastrose spedizioni.


 
 

 
 
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